2008-10 "Fitto e il federalismo" - Bel Paese

In un’intervista, che certamente non passerà alla storia, sul settimanale “Bel Paese” del 11 ottobre 2008, l’onorevole Fitto, il nostro ministro Raffaele Fitto, ad una domanda sui timori delle genti del Sud per il nuovo federalismo fiscale, così si esprime: “Non c’è niente da temere…Il testo garantisce i principi costituzionali, a cominciare dalla perequazione verticale in capo allo Stato, seguita da un livello uniforme di prestazioni essenziali, e la previsione delle risorse speciali aggiuntive in forma addizionale”. Testuale.

Ora so bene che in Puglia non si può parlare male di Fitto e in Italia non si può essere contrari al federalismo, perché sia il giovane ministro che la legge bossiana hanno un grande consenso, sia a destra che a sinistra. E poi godono di buona stampa. Io infatti non parlerò male di Fitto, anche se uno che si esprime in questo modo fa obiettivamente paura. Non avevo capito niente della nuova legge sul federalismo fiscale: dopo quest’intervista ho tanti timori, perché quando una persona normale si esprime in quel modo significa che sotto c’è un inganno grande grande. Però Fitto è un uomo potente in Puglia, il politico più vicino al leader maximo e quindi nessun giornale mette in discussione le sue rivelazioni, forse perché tutti hanno famiglia o forse perché tutti la pensano come lui. Perché Fitto quando dice quelle cose ha il cipiglio di chi sta pensando seriamente e questo in Italia è sempre importante. E poi Raffaele, oltre che un bel ragazzo, è figlio di politici e ha cominciato a far politica ben prima di essere un uomo e sinceramente si nota subito, da come parla, come veste, come dirige, come pontifica. Come si fa a mettere in discussione una legge garantita da uno con le sue qualità?

Ma qui, io, piccolo imprenditore, consigliere di minoranza attraverso una lista civica in un Comune di frontiera, non vorrei parlare male di Fitto, in quanto berlusconiano o leghista, né mi interessa metterlo in difficoltà con l’italiano, soprattutto in considerazione del fatto che quella lingua con cui si esprime è un’altra cosa.

In un linguaggio forzatamente semplice vorrei dire a Fitto due o tre cose, per esemplificare il mio dissenso storico al suo federalismo. Innanzitutto la riforma, il concetto secessionista trasformato in federalismo diviene fatto concreto attraverso il benestare della pancia dei nordisti, dei Bossi e dei Borghezio che in questo modo vogliono far passare il loro messaggio di reale divisione del Paese. Un’Italia ricca, la Padania, che si chiude dentro le sue paure e un’Italia povera, sud e isole comprese, che si arrangia con le sue mafie: proclami costanti di politici e gente comune che ancora oggi strombazza la sua distanza dalla capitale d’Italia e produce formule razziste in quantità industriale. Poi c’è un’oggettiva difficoltà a gestire questo processo in un’Italia sconquassata da un debito pubblico immenso,  in un momento in cui le risorse non andrebbero disperse in mille rivoli ma utilizzate in modo coerente in tutta Italia. Pensiamo che la nostra università è considerata fra le peggiori del mondo, che la nostra giustizia è fra le più lente, che la burocrazia è fra le più farraginose. L’impressione è che tutto questo si aggraverà con il federalismo fiscale, in quanto sarà un’altra sovrastruttura sulla testa dei cittadini. Infine l’Italia è dentro un grande progetto che si chiama Europa e lo sforzo comune di tutti i governanti dovrebbe essere quello di costruire una vera e grande nazione europea con la regionalizzazione delle attuali nazioni. Questo si che sarebbe un bel progetto, una cosa su cui scommettere, una cosa che forse potrebbe salvarci in futuro da aberrazioni governative personalistiche. Questa legge del federalismo fiscale rilancia invece in Italia i localismi, le stupide rivendicazioni geo-politiche con il risultato che perderemo qualsiasi entusiasmo di essere dentro la costruzione di un progetto più largo, più libero, più omogeneo. Diventeremo più piccoli, in tutti i sensi e probabilmente senza possibilità di ritorno.

Il federalismo in Italia è ormai antistorico e viene cavalcato da molti per biechi obiettivi elettorali e dai tanti per non farsi accusare di essere tradizionalisti. Ma il mio invito (anche a Fitto) è perentorio: fermiamoci qui e pensiamo a come interagire con l’economia globale, a quali grandi obiettivi dobbiamo tendere,  a quali miglioramenti del genere umano nel suo complesso aspirare  e non a quante tasse debba pagare il popolo della Padania.

Io non voglio parlar male di Fitto, sarà la storia a condannarlo perché è tutto assurdo ciò che si sta facendo in Italia negli ultimi vent’anni e lui ne è pieno e convinto protagonista. Ancora una volta la cecità collettiva derivata da un informazione sedata e da un incredibile volontà masochista della popolazione tutta, fanno in modo tale che le conseguenze ricadranno fra vent’anni sui nostri figli. A quel punto tutti si chiederanno come si sia potuti arrivare a tanto, avendo dimenticato le interviste e i decreti del duo Calderoni- Fitto.

Siccome potrei essere accusato da qualcuno dei tantissimi fittiani di essere stato poco chiaro, potrei tentare di esprimere tutto il mio dissenso, traducendolo istantaneamente nella sua lingua: “la sperequazione passiva è temibile in funzione delle risorse mancanti, che benché addizionali, saranno certamente inferiori alla sommatoria degli obblighi tradizionalmente garantiti dai principi costituzionali, in un crescendo di deresponsabilizzazione attiva nell’ambito dei contenuti del decreto federalista, anche per le manchevolezze storiche degli enti locali a cui fa riferimento il citato decreto legislativo”. Vi piace?

In attesa di un’Italia migliore, cordialmente vi mando questa cartolina attraverso la posta federale di Tricase.

Bel Paese - Ottobre 2008

Alfredo De Giuseppe

 

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