2005-10 "Da imprenditore che vota a sinistra" - Il Volantino

In vista delle primarie di domenica 16 ottobre abbiamo chiesto ad Alfredo De Giuseppe di esprimere una sua personale valutazione

Nonostante tutto, mi avvio al mezzo secolo facendo l’imprenditore. Non ci avrei scommesso, eppure eccomi qui. E allora mi vesto da imprenditore, e parlo da commerciante moderno inserito nella Distribuzione Organizzata. Eviterò in questo breve scritto di usare inglesismi strani, per far vedere che ho capito cos’è un display quando parlo degli scaffali del supermercato, o il pay-off per ragionare sui messaggi pubblicitari. Non è di questo che vorrei parlare. Mi piacerebbe divagare sui sogni e progetti di un medio imprenditore come me, inserito nel contesto economico/politico dei nostri giorni.

Vorrei sfatare che l’imprenditore italiano debba essere necessariamente la controfigura di Berlusconi: ho conosciuto tanti imprenditori onesti e attenti alla legge. Questo retaggio che colora l’imprenditore come il padrone menefreghista e sfruttatore ha per decenni messo d’accordo l’ipocrisia dei cattolici praticanti che vedono nel denaro una continua tentazione di liberazione e i comunisti super sindacalizzati che vedono l’impresa come un furto legalizzato. Sembrerebbe, ad esempio, che in Italia sia impossibile fare impresa e pensare che debba essere rispettato l’ambiente: eppure decine di imprenditori, sulla loro pelle, sono impegnati a creare aziende che abbiano un utilizzo sostenibile delle risorse. Sembrerebbe che sia impossibile avere un’idea etica della propria azienda, forse i conflitti con i dipendenti sono sempre in agguato, qualsiasi sia l’atteggiamento mentale con il quale ci si pone, eppure vi posso garantire che questo tentativo è presente in me in ogni atto che coinvolga altre persone.

Ma oggi fare impresa, partendo da questo Sud è davvero un’impresa. Il mercato è asfittico, il movimento del turismo è come un lampo, dura un attimo, serve ad illuderci che qualcosa cambierà. Conosco tanti piccoli imprenditori disposti a soffrire in silenzio, a non condividere la loro angoscia per l’andamento aziendale con nessuno, ad investire di nuovo senza un aiuto, senza neanche un’approvazione dei propri vicini. I tanti imprenditori che vorrebbero lavorare con un certo entusiasmo pensano le stesse cose: non ci sono regole certe e semplici, non è possibile perdere la maggior parte del tempo in incombenze burocratiche, mentre dovrebbero formare il personale, maneggiare meglio tutta l’informatica e le nuove tecnologie, e seguire i cambiamenti repentini e costanti del mercato, mercanteggiare sui nuovi tavoli con competenza e senza paura. (Vi faccio un solo esempio: un negozio per aprire al pubblico ha bisogno dell’Autorizzazione Sanitaria. Non si può avere preventiva, bisogna completare l’esercizio in ogni sua parte, poi presentare la domanda al Sindaco di Tricase, corredata di progetto e relazione tecnica a firma di un tecnico abilitato. Il funzionario al commercio del Comune la esamina ed ha 30 giorni di tempo per inviarla alla ASL di competenza che guarda caso non è Tricase ma Maglie, che ha 30 giorni di tempo per inviarla alla ASL di Tricase-Ufficio Igiene- che a sua volta ha 30 giorni di tempo per fare un sopralluogo e decidere se va tutto bene. Se ci sono delle difficoltà si ricomincia tutto daccapo, nuovo progetto e così via. Ma se non ci sono problemi, il responsabile dell’Ufficio Igiene ha 30 giorni di tempo per trasmettere al Sindaco di Tricase il suo Parere Sanitario. A questo punto con il Parere in mano il Sindaco può finalmente concedere L’Autorizzazione Sanitaria, potendo comunque firmare il documento dopo 30 giorni. Insomma se tutti si prendono i loro 30 giorni e vi garantisco che può succedere, l’Autorizzazione Sanitaria per aprire un negozio necessita di ben 120 giorni. Per inciso vi dico che in nessun altro paese europeo esiste una cosa del genere: c’è un ufficio competente, si va con una domandina molto semplice, un funzionario incaricato fa un immediato sopralluogo e contestualmente rilascia il certificato di salubrità dei locali. Il Sindaco non c’entra niente e la pratica viene toccata da una sola persona o da un solo ufficio. Vi sembra poco?).

Ho sempre lottato con il buon senso contro queste difficoltà e mi sono reso conto che il cambiamento deve essere globale, non basta fare una nuova legge. In Italia siamo bravissimi a fare nuove leggi da sovrapporre alle vecchie, mentre il rinnovamento deve essere culturale e quindi politico. Prendiamo ad esempio la legge Biagi: ha cambiato alcuni nomi ma la sostanza non è cambiata di una virgola né per il lavoratore né per il datore di lavoro. Una vera riforma sarebbe stata quella che io chiamo la logica della “flessibilità migliorativa”: una volta assodato il salario minimo (sul quale potremo discutere) l’imprenditore dovrebbe avere la possibilità di premiare realmente chi merita senza essere tartassato di tasse e balzelli anche sul surplus rispetto al minimo stabilito. Una cosa semplice di buon senso, eppure mai ventilata nelle migliaia di proposte sul lavoro fatte da categorie e sindacati.

E’ in questa semplice ricerca del buon senso che c’è il mio impegno europeista che dura da trent’anni. La mia stella polare è stata sempre il pragamatismo di certe democrazie dell’Europa del nord, della sintesi della loro civiltà, intesa come rispetto dell’altro, a cominciare dal più debolee non dal più furbo. Eppure più di una volta è bastato dire due cose di fila di buon senso per essere tacciato di comunismo viscerale. Eppure non ho mai votato per i partiti dell’ultrasinistra, non capisco la Rifondazione Comunista cosa sia e cosa voglia in questa fase storica (ma forse è solo una dannosa forzatura lessicale).

Aspiro ad una conduzione del Governo da parte di una coalizione che prenda di petto i veri problemi del Paese, che sia riformista nel senso più puro della parola, che si apra al mondo per avere più opportunità, che sappia tenere la Chiesa nel suo ambito, che faccia crescere un popolo ammalato di TV commerciale al quale non interessa più la riforma scolastica, quella sanitaria o quella del commercio. Che sappia riformare la giustizia nel senso di velocità e di garanzia e non in quello astruso e personalistico dato dalla destra berlusconiana. Insomma, anche con il mio vestito da imprenditore, voterò per una forza seriamente riformista come i DS, dove c’è qualcuno (vedi Bersani) che saprebbe come governare un cambiamento. Con il buon senso voterò per Prodi, in attesa di uno Zapatero.

Il Volantino - Ottobre 05

Alfredo De Giuseppe

 

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