1984-12 "E io ti canto Tricase, oh diva" - Nuove Opinioni

Osservo comportamenti, usi, costumi, mode, abusi e pazzie di tricasini giovani, trentenni e ottantenni, alla metà degli anni ’80. Osservo e mi accorgo che rientriamo nella casistica comune: giovani con l’atteggiamento del “vissuto”, sguardo fisso nel boccale di birra; ragazzine vispe e ben vestite che si danno meno di quel che sembra; trentenni in jeans, appassionati di calcio che parlano di soldi, mentre i quarantenni “devono” andare a pescare e giocare a tennis. Anche i nostri vecchietti cominciano ad essere molto vicini a quelli di Roma o Milano.

Un dialogo colto al volo, l’altro giorno, all’incrocio fra via Cadorna e via Roma, fra due anziane signore:

“Hai visto quel lazzarone cosa ha combinato ieri sera?”

“E già. Fa davvero male vedere certe cose”

Si riferivano all’antagonista di Luis Antonio nella telenovela “Anche i ricchi piangono”. Mi sembra che la TV stia dando ad ognuno la possibilità di ritrovare il proprio prototipo culturale. Ed è una rivoluzione mondiale. Nessuno sente più bisogno di pensare e migliorare, basta cambiare canale.

Mimma Raeli (se facessimo un referendum penso che risulterebbe la commerciante più simpatica) mi dice: “I libri ormai sono solo oggetto di regalo, ben confezionato, mi raccomando, che poi magari pochi leggono. Sono pochissimi quelli che vengono a scegliersi un libro per il piacere di leggere un libro”.

E del resto a cosa serve? Basta vedere “Superflash” e “Domenica In” per essere informati di tutto ciò che ci circonda. Non ha importanza che poi nel mondo si muoia per fame, si venga torturati senza fine per delitti mai commessi, che si vada in prigione e si aspetti il giudizio per dieci anni, che si combattono guerre assurde, non ha importanza che la vita scorra senza neanche averci provato, senza neanche prenderci gusto.

La TV ha unificato i desideri (adesso “la felicità” è una bella cucina) e quasi annullate le specificità locali, appiattito i nostri discorsi e le nostre serate.

Ci mancano sempre di più i momenti di sbalordimento, di meraviglia, ci capita sempre più spesso di sentirci consumati, come di aver vissuto un millennio e più.

Oppure, e questo è l’atteggiamento mentale che preferisco, “tanto è un gioco” e basta sedersi un attimo, osservarla e riderne o almeno farle una smorfia.

Aumentano a Tricase i soci dei Inter Club, Juve Club, Milan Club, Club della Vela, dello Yatch e della barchetta e delle Moto, Circolo Cittadino, iscritti alle palestre di Karatè, pallavolo, tennis, equitazione, iscritti all’ACI (“sai noi facciamo il week-end ogni settimana…”), iscritti alla società che fa sicuramente tredici ogni domenica. Tanta gente che si arrabbia di più.

Grossi movimenti economici non ne esistono, non sembra che Tricase stia scommettendo sul proprio futuro.

Sembra il posto dove il disordine degenera nell’ordine. È la Tricase della metà degli anni ottanta. Tricase che non ride, non si diverte, non sogna più. Tricase più case che abitanti. Tricase mediocre, non inventa e non sceglie. Tricase sorniona, tranquilla, furba e lontana. Tricase con tanti disoccupati e forse nessuno.

Tricase senza ironia, ricordata per le cose da dimenticare.

Tricase scolastica, ipocrita e arrogante.

Tricase una cambiale scaduta che Gigi Vasquez sta per mandare in protesto.

Ecco sono contento di essere nato qui, sul 40° parallelo, lo stesso di New York.

 

“Nuove Opinioni” – Dicembre 1984

Alfredo De Giuseppe

 

 

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